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Un’articolo di Beppe Bigazzi sulla pasta.

04/04/13

RICORDATE: NON ESISTE BUONA CUCINA SENZA BUONI INGREDIENTI. NON SEMPRE I BUONI INGREDIENTI SONO PIÙ COSTOSI DI QUELLI DI QUALITA’ INFERIORE. QUESTO VALE SOPRATTUTTO PER LA PASTA.

di BEPPE BIGAZZI

Sulla base della legislazione vigente, la pasta secca alimentare deve essere fatta con semola di grano duro.  Bene abbiamo solo detto la condizione necessaria, ma non sufficiente, per una eccellente pasta alimentare. Un tempo, fino agli anni 60, il grano duro era prodotto nel sud Italia, dove i terreni e il clima erano ideali. Il nostro paese era allora fra i più progrediti nella scelta e nella ‘creazione” di sementi (vorrei solo ricordare il grano duro Senatore Cappelli, seminato in particolare in Abruzzo, Puglia, Sicilia). Oggi la produzione di grano duro non basta più al nostro consumo. Questo è il frutto di scelte di politica agricola che hanno incentivalo la produzione di grano duro anche al nord, dove terreni e clima hanno richiesto nuove cultivar, determinando un abbassamento qualitativo e uniformando i prezzi dello pasta di grano tenero e di quella di grano duro. Abbiamo abbassato la qualità del grano duro per aumentarne la produzione e oggi abbiamo costretto i contadini a interrompere, in molti casi, la produzione al sud perché fuori prezzo!  Ma, insomma, come è la pasta che si consuma in Italia? Il grano duro tradizionale del sud ho una qualità superiore, dovuta ai terreni, al clima e alle cultivar. Altro fattore importante è il processo produttivo. La macinazione non avviene più nei “vecchi” mulini, ma in mulini moderni che con i loro cilindri di acciaio “grattano” i chicchi, procedendo dall’esterno verso l’interno, con successivi passaggi in coppie di cilindri sempre più vicine, separando via via le parti più esterne da quelle interne. La macinazione moderna potrebbe però dare un buon prodotto se i cilindri fossero raffreddati. Il germe di grano di ogni chicco, ricco di grassi, minerali, vitamine B ed E, ha il difetto di ridurre di molto la vita dello farina, ma ha anche il pregio di poter essere venduto o caro prezzo all’industria cosmetica e farmaceutica. Perciò si toglie, impoverendo la qualità nutrizionale della semola e dello farina. Si toglie il germe, si tolgono gli involucri esterni del chicco e si ha una farina o semola impoverita. Poi crusca e germe ci vengono venduti in farmacia. Possiamo dal mulino al pastificio. Qui si impasta la semola con l’acqua, ma questa non è tutta uguale e niente può portarla al valore dell’acqua di fonte calcarea e, con il processo di trafilatura, si hanno i vari formati di pasta. Formati che non sono uno sfizio del produttore, ma una necessità gastronomica per avere il miglior risultato nell’unione del sugo con la pasta. Naturalmente la quantità richiede velocità. Il buon vecchio bronzo delle trafile è sostituito nei grandi pastifici dal teflon, che velocizza il processo. Con un problema: la pasta esce liscia come un’anguilla e la puoi immergere nel sugo senza che questo le si attacchi. La velocità diviene fondamentale nell’asciugatura della pasta: non più aria come uno volta, ma celle dove il processo di essiccazione si compie in pochi minuti. Si risolvono i problemi di spazio a scapito della qualità. È la stessa cosa che accade per il pane, quando si riduce al minimo la lievitazione. Il risultato di tutto questo è una pasta più povera sotto il profilo nutrizionale e meno digeribile rispetto a quella che non ha subito impoverimenti nutrizionali e non è stata “cotta”  tre volte: macinazione, trafilatura, asciugatura. Lo pasta che mangiamo é, in conclusione, criticabile? Certo non è criticata dalla quasi totalità della popolazione perché questa non è stata educata. Anzi il palato deve essere educato. Ma tutto è subordinato alle grandi multinazionali che vogliono la standardizzazione, al ribasso, del gusto. Siamo senza speranza? No, se non ci arrendiamo. Basta vedere quello che accade intorno a noi. Anche i grandi creano delle linee di pasta “speciale”. I piccoli riprendono forza. Tutti aspirano a prodotti migliori, anche se non sanno quali. La minoranza, ieri ridottissima, che aspira a prodotti più naturali, meno elaborati, sta crescendo a buoni ritmi. Ne sono la riprova i mercatini dei contadini, la richiesta di prodotti biologici, le pubblicazioni che parlano di olio, vino, pane, latte, formaggi, bovini, suini, polli, uova, verdure, che crescono a ritmi incoraggianti. Alcune regioni incentivano l’uso di grani locali nella pastificazione e nella panificazione. È un buon inizio. Vorrei ricordare mio nonno Pietro e mio padre, che ogni 15 giorni attaccavano il carro dei buoi per andare a far macinare il grano al mulino de Ponte del Mocarini. Una mattinata di tempo per avere la farina per fare il pane e la pasta in casa! Fresca, buona, nutriente perché aveva conservato il germe dì grano. Dobbiamo proseguire su questa strada, per orientare con la nostra spesa la produzione.Non dobbiamo arrenderci.

 

 

 

 

 

 

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